Corsi di inglese per chi studia Scienze della Comunicazione Pubblica: quello che avrei voluto sapere prima di partire
Parliamoci chiaro: studiare Scienze della Comunicazione Pubblica in un’università all’estero è una scelta piena di possibilità, ma anche di sfide vere. E l’inglese, soprattutto in questo settore, non è solo “qualcosa che serve”, ma qualcosa che può davvero fare la differenza. Non solo all’esame, ma tutti i santi giorni – tra lezioni, email, presentazioni, rapporti con compagni e docenti.
Ecco quindi una panoramica schietta di quello che ti serve sapere prima di buttarti: consigli pratici, qualche trappola da evitare e qualche esperienza (non sempre rose e fiori) di chi c’è già passato.
Perché un corso di inglese “generico” potrebbe non bastare
La comunicazione pubblica all’estero ruota attorno a linguaggi specifici, contesti particolari, modi di organizzare il pensiero che cambiano da paese a paese. A me, per esempio, il primo giorno di seminario chiedevano di commentare articoli di policy o scrivere email formali: roba che con il “did you go to the cinema last weekend?” del liceo ha veramente poco a che fare.
Un corso d’inglese mirato, pensato proprio per chi vuole lavorare nei media, nelle istituzioni, nell’ambito della comunicazione pubblica, fa la differenza perché:
- Ti abitua ai termini tecnici (tipo “public affairs”, “stakeholder engagement”, “policy brief”… e ci sono mille altri!).
- Ti allena a presentare e scrivere report, saggi argomentativi, email ufficiali.
- Ti mette sotto gli occhi (e nelle orecchie) una valanga di documenti, report, linguaggio settoriale che ritroverai nella tua futura università.
- Ti insegna il galateo di come si comunica in pubblico, come si fanno domande, come si dibatte rispettando certe regole.
Che tipo di corsi di inglese sono davvero utili in questo campo?
Non esiste “il corso perfetto” valido per tutti, ma questi sono quelli che abbiamo visto funzionare meglio tra gli studenti di comunicazione pubblica:
- English for Academic Purposes (EAP): sono corsi pensati proprio per chi studierà all’università all’estero, con molto spazio su essays, reading complessi, discussioni accese (sì, proprio come quelle che avrai in aula).
- Business English con focus sulla comunicazione istituzionale: orientato più al mondo del lavoro pubblico, delle ONG, della pubblica amministrazione.
- Preparazione agli esami di certificazione come IELTS/TOEFL: oltre ad essere spesso obbligatori, ti aiutano a prendere confidenza con la lingua “a 360 gradi” (listening, reading, speaking, writing), utilissimo anche per la vita quotidiana.
- Workshop su public speaking, media relations, comunicazione interculturale: se trovi qualche corso o modulo pratico di questo tipo (ce ne sono sempre di più), buttatici: fanno davvero la differenza per imparare a gestire ansie e messaggi in pubblico in una lingua che non è la tua.
Come si sceglie il corso giusto (senza farsi fregare dal marketing)?
Piccoli consigli brutali, che avrei voluto mi dicessero senza tanti giri di parole:
- Fatti un test di inglese VERO prima di decidere dove investire tempo e soldi. A volte pensi di essere “pronto”, poi basta la prima lezione di linguistica applicata per capire che forse… c’è da rimboccarsi le maniche.
- Valuta bene quanto tempo hai: un corso intensivo d’estate può essere una salvezza, ma non tutti riescono a reggere i ritmi. Anche online può andare bene, ma non sostituisce la pratica vera, il confronto con altri studenti.
- Vedi se l’università (o le scuole di lingua accreditate) offrono corsi specifici già pensati per studenti internazionali: vale la pena informarsi o chiedere a chi l’ha già fatto.
- E soprattutto: non fidarti solo delle brochure ufficiali. Cerca online, leggi recensioni, chiedi nei gruppi di ex studenti (magari anche a noi, che ne abbiamo seguiti un bel po’).
Problemi reali che (quasi) nessuno ti racconta
- A volte finisci il corso d’inglese e scopri che “quel lessico” lì, nelle aule universitarie, manca ancora. Ci vuole tempo, pazienza, e bisogna continuare a imparare sul campo.
- In alcuni paesi (vedi UK o Irlanda), il livello richiesto anche solo per seguire una conversazione a lezione può spiazzare. Ci vuole il coraggio di chiedere aiuto, fare domande, non temere figuracce: nessuno è perfetto, chi prima ammette di aver bisogno di una mano, di solito va avanti meglio.
- Non sottovalutare il gap culturale: scrivere un saggio in Italia non è come scriverlo in UK o USA. Cambia la struttura, lo stile, il tono. Un buon corso ti aiuta anche a capire questo.
Due storie vere che fanno più di mille consigli
Anna, iscritta a Public Communication a Londra, era convinta che il suo livello “upper intermediate” fosse sufficiente. Poi, quando la prof le ha chiesto una peer review su una policy analysis, si è trovata davanti un muro di parole sconosciute. Dice che il corso EAP (fatto prima dell’immatricolazione) le ha salvato la sessione. Ha studiato come si scrivono i papers “alla inglese” e ora aiuta gli altri nuovi arrivati.
Marco ha preso un corso di Business English mirato durante l’estate: “I role play su conferenze stampa e simulazioni di interviste li ho sentiti ‘finti’ all’inizio. Poi, al colloquio per il tirocinio in comune, mi sono reso conto di essere l’unico che sapeva usare certi termini e gestire l’ansia in inglese.”
Consigli spicci ma fondamentali… che nessuno ti impone, ma che funzionano
- Inizia a seguire podcast e newsletter di settore in inglese mesi prima di partire (anche solo 10-minuti al giorno: non fa miracoli - ma apre la mente).
- Appena puoi, scrivi email e post sui social in inglese, anche se brevi (allenamento vero!). Fatti correggere dagli amici, non da Google Translate.
- Se puoi, organizza in anticipo uno scambio con altri studenti che stanno partendo: ti aiuti a vicenda, magari scoprite pure qualche errore “giocando”.
- Consulta siti e portali di università straniere per vedere esempi di assignment o comunicazioni reali.
- Sfrutta i corsi estivi o i moduli integrativi offerti da molte facoltà (nei paesi anglosassoni), anche perché… sono gratis (o quasi) e puoi fare rete.
Domande che sentiamo ogni settimana… con risposte senza filtri
Che livello di inglese serve di solito per comunicazione pubblica?
Nella maggior parte dei casi ti chiedono un B2/C1. Ma attenzione: anche con un B2 “scolastico”, le prime settimane non saranno semplici. Meglio portarsi avanti il più possibile prima di partire.
Posso migliorare il mio inglese solo con corsi online?
Può aiutarti all’inizio, ma prima o poi serve il confronto reale: parlare, ascoltare, sbagliare e correggersi sul campo fa la differenza.
I corsi specifici costano troppo?
Dipende dalla formula e dalla durata. Ce ne sono di accessibili, ma alcuni sono davvero costosi. Se hai dubbi, chiedi a chi c’è passato (puoi scrivere anche a Studey: ti diciamo se una scuola ha senso o se c’è un’alternativa valida meno costosa).
Se arrivo “indietro” rispetto agli altri?
Non sei solo: moltissimi studenti italiani hanno questa paura. Le università spesso offrono tutoring e corsi extra. Ma la cosa più utile è sempre parlarne subito: prima chiedi aiuto, prima inizi a recuperare.
Un messaggio finale, da chi il salto l’ha già fatto
Prepararsi all’inglese per studiare comunicazione pubblica non è solo superare un ostacolo burocratico. È un percorso che può portarti dappertutto — ma sì, anche spaventare. Evita il mito delle “scorciatoie”: un corso mirato, la voglia di fare domande, la fatica di fare errori (anche imbarazzanti… e capita a tutti!) alla fine sono le cose che ti faranno crescere davvero.
Se vuoi un consiglio umano, su misura, se hai bisogno di capire quale corso è più adatto o come affrontare l’ammissione senza sentirti un “impostore”, scrivici. Da Studey non abbiamo bacchette magiche, ma ti ascoltiamo davvero — e se non abbiamo la risposta subito, la cerchiamo insieme.
Perché alla fine non conta sembrare perfetti. Conta arrivare preparati, giorno per giorno, e sapere di non essere soli in viaggio.
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