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Corsi di inglese per studenti di musica

Studiare musica all'estero richiede un buon livello d'inglese. Scopri i corsi di inglese specifici per musicisti e scegli quello giusto per te.

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Corsi di inglese per studenti di musica: cosa tenere a mente prima di partire

Studiare musica all’estero è un sogno per tanti, ma spesso ci si concentra solo sugli spartiti e si trascura un aspetto decisivo: l’inglese. Quasi tutti i conservatori e le università musicali fuori dall’Italia usano l’inglese come lingua principale per lezioni, esami, workshop e – forse ancora più importante – per il confronto quotidiano con colleghi e insegnanti. Qui sotto trovi quello che davvero ti serve sapere prima di scegliere un corso di inglese se stai puntando sulla musica. Esperienza reale, zero filtri.


L’inglese generale non basta (purtroppo)

Chi suona uno strumento o canta di solito se la cava a capire i comandi classici, i titoli delle composizioni o le abbreviature. Ma appena ti confronti con lezioni vere, masterclass, esami orali o riunioni d’insieme all’estero, il vocabolario cambia: music theory, score analysis, feedback sulle performance e mille sfumature che non si imparano in un corso d’inglese qualsiasi.

Parlare di musica in inglese, esprimere dubbi su una partitura, raccontare una tecnica o semplicemente fare domande in classe sono abilità che si costruiscono solo con un corso che abbia, almeno in parte, un focus musicale. Fidati: è diverso.


Quali tipi di corsi esistono davvero?

  • Corsi d’inglese con moduli musicali: sono lezioni dove si alterna inglese “quotidiano” a temi musicali. Un esempio? Simulazioni di lezioni, discussioni su spartiti, ascolto di brani e analisi in inglese. Non salvano la vita, ma aiutano a rompere il ghiaccio senza salti nel vuoto.
  • Inglese accademico per musica: qui si va più sul dettagliato, con vocaboli tecnici (molto utili per chi sogna la laurea all’estero) e consigli su come scrivere saggi o presentare ricerche. Serve una base già solida di inglese, sennò si rischia l’effetto panico.
  • Workshop pratici: spesso sono attività brevi proposte direttamente da accademie musicali. Qui si suona, si parla e si ascolta tutto in inglese, magari anche insieme a insegnanti madrelingua. Da provare se vuoi misurarti sul campo.

Come scegliere senza prendere fregature

  1. Sai già che livello hai? Non ti serve bluffare con te stesso. Se il tuo inglese è base, meglio ammetterlo subito e scegliere un corso che parta semplice, magari aggiungendo qualche ora dedicata alla musica. Se invece parli abbastanza bene, puoi puntare dritto su qualcosa di più tecnico.
  2. Leggi tutto tra le righe: Alcune scuole promettono corsi “per musicisti” ma poi si limitano a due esercizi al mese sui nomi degli strumenti. Meglio chiedere in modo molto diretto: cosa fate di diverso in questo corso? Ci sono insegnanti che capiscono davvero di musica?
  3. La destinazione conta: Regno Unito e USA sono davanti alle altre nazioni per varietà di corsi di inglese specifici per musica. Però ci sono ottime offerte anche in Irlanda, Australia e (qualche volta) nella stessa Italia, magari con stage all’estero.
  4. Budget e tempistiche: Corsi brevi, molto specifici, a volte costano più di quelli generici. E spesso richiedono di avere già un certificato di inglese (non sempre facile da ottenere all’ultimo secondo). Occhio ai dettagli, meglio parlarne con chi ci è passato.

Attenzione agli ostacoli nascosti

  • Poca energia da dividere: Tra studio dello strumento, esibizioni e ciancio con i compagni, aggiungere le ore d’inglese rischia di diventare pesante. Non sentirti “sbagliato” se ogni tanto vuoi mollare tutto. Succede a molti.
  • Il mito del corso miracoloso: Nessun corso in poche settimane ti farà parlare come un insegnante di Oxford, specialmente sui temi musicali. I progressi ci sono, ma costano costanza e parecchia pazienza.
  • Corsi troppo teorici e troppo “standard”: Se il programma ti sembra lo stesso che avresti seguito in qualunque scuola superiore italiana, chiedi alternative. Anche solo un po’ di conversazione con altri studenti musicisti può cambiare la prospettiva.

Storia vera: Martina e il suo pianoforte (e l’inglese)

Martina aveva appena vinto l’audizione per un master di pianoforte nel Regno Unito. Prima di partire, pensava: “So l’inglese, me la cavo”. Salta fuori che capire la prof che commentava una sua interpretazione sulla “voicing technique” era tutta un’altra cosa. Ha scelto un corso a Londra dove, oltre a grammar e speaking, c’era un modulo dedicato proprio alla musica. Martina lo dice senza troppi giri di parole: “All’inizio mi sentivo spaesata, a volte pure umiliata. Ma dopo un po’, capisci che anche gli altri sono nella stessa barca, e che puoi farcela”. Niente magie, solo tanto esercizio (anche con errori, che ci stanno).


Le domande più gettonate

Serve sempre un certificato d’inglese?
Quasi sempre sì, soprattutto da B1 in su. Alcuni corsi richiedono pure una piccola prova d’ammissione solo sulla parte musicale (in inglese). Fatti dire esattamente le regole dalla tua scuola: ogni tanto cambiano.

Quanto costa davvero?
I corsi base possono partire da un centinaio di euro a settimana, quelli molto mirati (specie nelle grandi città) anche parecchio di più, arrivando a qualche migliaio. Chiedi sempre se ci sono pacchetti “musica + inglese”.

Posso imparare tutto online?
Molto si può fare online, specie nella parte teorica, ma l’immersione e la conversazione dal vivo sono tutta un’altra cosa. Non c’è giusto o sbagliato: valuta le tue possibilità e cerca di combinare le due cose se puoi.


Due consigli che avrei voluto prima di partire

  1. Non aspettare di “sentirti pronto” in inglese per partire: Si migliora strada facendo, e va bene così.
  2. Cerca chi ci è già passato: Parlare con altri studenti o ex studenti (magari proprio tramite Studey) ti fa risparmiare un sacco di errori e false aspettative.

Se hai dubbi, senti che l’inglese sia il tuo tallone d’Achille, o vuoi semplicemente avere un confronto onesto sulle opzioni che esistono, scrivici. Ti ascoltiamo, niente risposte in copia-incolla: solo consigli che proveremmo prima su noi stessi. Siamo qui anche quando la parte difficile non è solo l’applicazione, ma tutto il resto che viene dopo.

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