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Corsi di inglese con attività di startup

Scegliere un corso di inglese con attività di startup richiede attenzione. Scopri i pro e i contro prima di investire tempo e denaro.

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Corsi di inglese con attività di startup: qualche verità (senza filtri) prima di scegliere

Quando si parla di studiare inglese all’estero, ormai non ci immaginiamo più solo libri e listening. Oggi spuntano sempre più corsi che uniscono lingua e imprenditorialità, a volte con titoli altisonanti: “English & Startups”, “Business Innovation Experience” e via dicendo. Sulla carta suonano benissimo, ma nella pratica conviene davvero? E cosa bisognerebbe sapere prima di investirci tempo (e un bel po’ di soldi)? Provo a rispondere senza troppi giri di parole, con la voce di chi queste proposte le ha viste, vissute (e a volte anche un po’ subite).


Corsi di inglese con attività startup: cosa sono, esattamente?

Immagina un percorso in cui, oltre alle ore di lezione di inglese, ti ritrovi a lavorare a piccoli progetti ispirati al mondo delle startup: business plan, esercitazioni di pitch (sì, quelli che vanno fatti davanti a sconosciuti e spesso… in inglese arrugginito!), workshop con ospiti dall’aria intraprendente e attività di gruppo in cui si parla apertamente di idee, fallimenti, modelli di business e innovazione.

Non una full immersion nel business, né un semplice corso di lingua: un ibrido, insomma. E proprio per questo può essere una figata o una delusione, a seconda di cosa ti aspetti e, soprattutto, di quanto sei preparato.


Perché questa formula piace e cosa offre, davvero?

Chiariamo: la grammatica c’è, la conversazione pure, ma il focus si sposta molto sulle soft skill, quelle famose “competenze trasversali” che sembrano diventate fondamentali ovunque: lavorare in squadra, risolvere problemi all’ultimo minuto, imparare a parlare in pubblico, organizzare il tempo quando le ore non bastano mai.

Questi corsi possono aiutarti a:

  • Mettere subito in pratica l’inglese per parlare di idee, non solo per prenotare hotel o ordinare al ristorante.
  • Sperimentarti in gruppi davvero internazionali (e capire che “teamwork in inglese” non è solo un esercizio sul libro).
  • Provare a inventare qualcosa da zero, anche solo per farci amicizia con il fallimento (e con le mille paranoie dell’esporsi davanti agli altri).
  • In alcuni casi, conoscere professionisti, ex startupper, mentor: persone che qualche strada l’hanno già fatta, non solo teorici.

Le belle notizie però finiscono qui? No, ma servono un po’ di accortezze.


Attenzione a questi dettagli (che fanno la differenza)

Parliamoci chiaro, non tutti questi corsi sono uguali. Spesso il rischio è che la parte “startup” sia solo una spruzzata teorica (qualche slide, due esercizi e via). Altre volte sembra tutto molto figo, ma poi ti lasci con tanti biglietti da visita e poco altro.

Prima di scegliere, fatti queste domande:

  • Chi insegna davvero? Sono docenti di inglese che “si sono reinventati” o ci sono anche persone che di business e startup ne masticano per lavoro?
  • Il lavoro di gruppo è reale, concreto, valutato oppure è solo una formalità?
  • Si lavora su progetti veri, magari in collaborazione con incubatori o aziende, o tutto resta tra i banchi di scuola?
  • Il corso rilascia certificazioni serie, riconosciute almeno a livello linguistico?
  • Quanto costa (davvero)? Il prezzo spesso lievita per via delle attività extra: valuta se il miglioramento rispetto a un corso tradizionale è quello che stai cercando.
  • C’è un tutoraggio dopo? A volte ci sono opzioni di mentoring anche dopo la fine del corso — spesso sono un grande aiuto, ma non sempre sono inclusi o davvero utili.

Ostacoli e rischi che pochi raccontano

  1. Aspettative fuori scala: Non pensare che dopo due mesi uscirai con la tua startup pronta e investitori dietro l’angolo. Spesso chi arriva con questa idea si trova frustrato.
  2. Più difficile se l’inglese zoppica: Questi sono corsi tosti. Se il tuo inglese è base o intermedio basso, potrebbe essere oggettivamente troppo impegnativo (e rischi di ritrovarti a boccheggiare).
  3. Pressione e ansia di prestazione: Dover parlare di idee, difenderle davanti agli altri, lavorare di notte ad una presentazione… non è una passeggiata, soprattutto in una lingua che ancora non padroneggi sicuro.
  4. Non tutte le scuole sono trasparenti: Alcune fanno passare “la settimana startup” come esperienza rivoluzionaria, ma magari poi è solo un esercizio in classe con l’insegnante che fa finta di essere il CEO.

Una storia vera (che può farti capire se è la tua strada)

Filippo, uno dei ragazzi che abbiamo seguito, è partito per un corso a Londra attratto dall’idea di “fare business subito”. Primo giorno, entusiasmo alle stelle. Dopo tre settimane la fatica era doppia: dizionario in mano, nottate a scrivere un business plan che manco sapeva cos’era e discussioni con compagni di mezz’Europa. Non è stato tutto perfetto: qualche momento di frustrazione, ma alla fine ha tirato fuori un inglese più vero, ha imparato a lavorare in gruppo come mai prima e (questa sì, la parte bella) è riuscito a entrare come stagista in una digital agency. Però avverte: “La startup non l’ho fondata (né volevo davvero), però ho imparato l’inglese che serve davvero, non quello da eserciziario”.


Qualche consiglio pratico, senza illusioni

  • Se il tuo inglese è ancora traballante, meglio fare un corso tradizionale prima. Buttarsi subito sulla modalità “startup” rischia di essere demotivamente pesante.
  • Se sei affascinato dal business, valuta corsi dove la componente imprenditoriale è integrata con quella linguistica — non solo “aggiunta dopo”.
  • Chiedi, chiedi, chiedi: chi tiene le lezioni di startup? Ci sono davvero partner esterni? Che tipo di progetti farai?
  • Ricorda: certi programmi sono “costosi” più per il branding che per il contenuto effettivo. Non sempre vale la pena di spendere cifre folli se il tuo obiettivo è consolidare l’inglese.
  • Alcune destinazioni (come Olanda e Irlanda) sono più votate al practical learning. UK e USA hanno molte proposte, ma variano tanto tra teoria e pratica.

Domande che ci fanno spesso (e risposte schiette)

Devo parlare inglese benissimo per seguire un corso del genere?
Serve almeno un livello intermedio (B1/B2), perché capirai: se si parla di business, idee e problemi reali, si va ben oltre il “My name is…”.

Questi corsi aprono davvero le porte al lavoro?
Dipende. A volte sì, soprattutto se c’è mentoring vero o contatti con aziende. Altre volte resta tutto a livello di esercitazione.

Online va bene lo stesso?
Meglio di niente, ma le esperienze di gruppo e le relazioni che si creano dal vivo sono difficilmente sostituibili.

Vale la pena rispetto a un corso tradizionale?
Se vuoi solo migliorare l’inglese, forse no. Se cerchi anche ispirazione pratica e non hai paura di sbagliare, allora può essere una bella occasione.


Se hai ancora dubbi…

Studey nasce proprio da domande come queste. Ci sono passato anch’io — la paura di buttare via soldi, l’angoscia di non essere “abbastanza bravo”, la tentazione di fidarsi della scuola solo perché il sito è fatto bene. Se hai bisogno di confrontarti, non c’è fretta e non c’è impegno: scrivici o prenota una consulenza gratuita. Ti aiutiamo a capire cosa cerchi davvero, senza promesse irrealistiche e senza forzature. Studiare (e magari lanciarsi in un progetto nuovo) è già abbastanza tosto di suo — almeno la scelta su come partire dev’essere lucida e umana.

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