Imparare l’inglese (anche) in cucina: quando la lingua passa dalla teoria alla pratica
Quando mi chiedono qual è il modo migliore per migliorare il proprio inglese, di solito mi viene in mente una scena: una cucina chiassosa, mani infarinate, qualcuno che cerca di capire se “fold” vuol dire davvero “piegare” o altro, e tanti “sorry, come si dice...?” sparsi qua e là. No, non è uno sketch – sono i corsi in cui si studia inglese cucinando. È un approccio che ha aiutato diverse persone che seguiamo e te lo racconto lasciando da parte i toni pomposi e le promesse da pubblicità: non è la soluzione magica, ma per molti è stato il modo più concreto e “vero” di sbloccare la lingua e divertirsi (anche nei momenti di caos totale).
Come funzionano davvero questi corsi?
Di base, sono lezioni di inglese in cui si fa, letteralmente, qualcosa con le mani: si leggono e si spiegano ricette, si impara il nome degli ingredienti, si litiga su come si pronuncia “aubergine”, ci si dà una mano a capire cosa vuol dire “whisk until soft peaks form”. Il lessico che impari non è quello dei libri (“the cat is under the table”), ma quello che ti serve davvero per non impazzire nel supermercato o quando vai a mangiare fuori in UK, Irlanda, o Australia.
Le vere chicche?
- Durante la preparazione di un piatto, capita di dover spiegare agli altri che hai rotto (di nuovo) un uovo nella maniera sbagliata: difficile dimenticarselo, no?
- Puoi chiedere consigli su ingredienti locali e, intanto, sentire mille accenti diversi.
- Gli errori fanno ridere tutti: impari che non devi avere paura di sbagliare.
Perché scegliere questa strada?
- Impari davvero facendo: se qualcuno ti dice “Hand me the whisk, please!”, non è che puoi googlare: lo devi capire subito. È un modo pratico di fissare le parole nella mente (pure dopo la fine della lezione).
- Parlare e cucinare, insieme, abbatte i blocchi: se hai paura di parlare in pubblico, qui spesso ci si distrae dal “parlare perfetto” perché la concentrazione va sui fornelli. Risultato? Ti sciogli, senza rendertene conto.
- Ti porta dentro una cultura: la cucina racconta molto dei paesi. Capisci abitudini, modi di vivere, come si fa il tè “come va fatto” — e puoi chiedere tutto senza imbarazzo.
- Fai amicizia: i legami che nascono tra una “pasta overcooked” e una battuta sugli italiani che cucinano sempre meglio sono spesso più veri di mille messaggi sui gruppi WhatsApp delle classi tradizionali.
A chi serve (e a chi no)
Questi corsi sono perfetti per chi si sente bloccato dai metodi classici, chi odea la grammatica pura o vorrebbe provare ad apprendere facendo qualcosa di pratico (ma anche mangiando, che non guasta mai). Sono onesto: se punti direttamente ad accedere a una facoltà universitaria all’estero, non bastano da soli. Questi corsi ti danno sicurezza e vocabolario di base, ma per seguire lezioni accademiche dovrai integrare con altri percorsi più “tecnici”.
Le cose da sapere prima di scegliere
- Non è tutto rosa e fiori: non pensare di uscire di lì fluente. L’inglese che si impara è soprattutto quello della quotidianità e della cucina; la pronuncia migliora, l'ascolto pure, ma la grammatica viene allenata solo marginalmente.
- Conta molto chi insegna: fatti un’idea di chi sono i docenti. Chi sa davvero insegnare, riesce a correggere gli errori senza metterti in imbarazzo, e trasforma ogni pasticcio culinario in una lezione di lingua vera.
- Attenzione alle promesse: non tutti i corsi sono uguali. Alcuni sono quasi “corsi di cucina con inglese di contorno”. Chiedi sempre come si bilanciano cucina e lingua: se il tuo scopo è imparare, non limitarti al corso più “instagrammabile”.
- Il prezzo: di solito includono ingredienti e spazi attrezzati, quindi il costo può essere un po’ più alto. Ma se la differenza è minima rispetto a un normale corso di gruppo, può valere la pena.
- Paese, cultura, lingua: in Inghilterra e Irlanda, ad esempio, potresti scoprire piatti e tradizioni molto diverse. Può essere un vantaggio se cerchi immersione vera.
Esperienze reali
C’è chi, dopo un corso simile in Irlanda, ha imparato a chiamare senza esitazioni “parsley” e “scone”, mentre prima si bloccava anche su “hello” per la paura di sbagliare. Mi hanno raccontato che il vero “salto” non è stato nella grammatica, ma nella voglia di provarci, sbagliare senza stress e buttarsi in chiacchiere anche fuori dal corso. Tuttavia, quasi tutti dicono la stessa cosa: se vuoi davvero salire di livello—magari per l’università o il lavoro—serve aggiungere ore di studio classico, anche se la base fatta sui fornelli è stata preziosa per partire.
Domande fatte-davvero
Non sempre: anche chi ha un livello intermedio si trova a fare i conti con vocaboli nuovi, idiomi e accenti diversi, ma se sei avanzato forse cercherai qualcosa di diverso.
Dipende dal corso. Alcuni sono molto internazionali, altri puntano tutto sulla tradizione locale: meglio chiedere prima cosa bolle in pentola (letteralmente).
Si va dalla “full immersion” di una settimana ai programmi mensili; controlla bene per non rischiare di puntare su un’esperienza troppo breve o troppo lunga per le tue necessità.
Per abituarti alla lingua parlata, sì, soprattutto se hai paura di parlare o ti blocchi sull’ascolto. Ma non ti faranno superare un test di inglese ufficiale, quindi considera di integrare altri corsi se il tuo obiettivo è quello.
In sintesi
È un modo diverso—più umano e meno scolastico—per sbloccare la lingua, prendere coraggio e fare amicizia. Ma serve anche realismo: imparerai molto, ma non tutto. Se hai mille domande su questa o altre strade, raccontaci la tua situazione: rispondiamo sempre, anche se la risposta non è quella che speravi (tipo “no, non basta solo questo corso per entrare a Harvard”, ma ti aiutiamo a capire cosa manca e come muoverti senza perdere tempo né soldi).
Il nostro “ingrediente segreto”? Essere passati da lì, con tutti i dubbi e le figuracce del caso. E restare disponibili anche quando finisce la lezione—di cucina e di inglese.
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