Studiare Informatica negli Stati Uniti: Esperienze Vere, Opportunità e Difficoltà
Studiare informatica negli Stati Uniti può effettivamente essere una di quelle scelte che ti cambia la vita, ma spesso – soprattutto se vieni dall’Italia – non è per niente il percorso già scritto che si racconta. Qui provo a raccontarti come stanno davvero le cose, sulla base dell’esperienza personale vissuta e di quella di tanti studenti italiani che ho incontrato nel tempo.
Università top per informatica negli USA… ma sono adatte a tutti?
Quando si parla di informatica negli Stati Uniti, i nomi che saltano fuori sono sempre gli stessi: MIT, Stanford, Carnegie Mellon, Berkeley. E sì, sono sicuramente posti dove l’informatica “pesa” tanto: ricerca all’avanguardia, laboratori che sembrano usciti da un film di fantascienza, collaborazioni con le big tech della Silicon Valley.
Però, piccolo spoiler: la realtà non finisce qui. Entrare in queste università è difficilissimo e non è detto che siano la scelta giusta per tutti. Ho conosciuto ragazzi bravissimi, che hanno preferito università meno blasonate ma più adatte al proprio modo di vivere e studiare, risparmiando anche parecchio sul costo della vita. Ci sono tantissime università “normali” negli USA con ottimi programmi CS – magari meno nel radar, ma meno stressanti e più accessibili come community.
La verità è che non esiste la “migliore” università in assoluto. Esiste quella più sensata per te: per come sei, per il budget che hai, per l’ambiente in cui pensi di poter stare bene. Se vuoi qualche dritta su come valutare le differenze, raccontami qualcosa di te e cerco di darti pareri veri, non luoghi comuni.
Come funziona davvero la candidatura?
Non te la voglio vendere troppo “complicata”, però il processo di application per l’università americana richiede organizzazione e pazienza. E qui parlo per esperienza personale: è facile avere la tentazione di rimandare, poi ci si ritrova sommersi dai documenti e dal nervosismo.
Serve una buona media scolastica (soprattutto nelle materie scientifiche), ma anche test come SAT o ACT, e certificazione dell’inglese (IELTS o TOEFL). Uno degli ostacoli maggiori, sinceramente, è il personal statement: quella lettera dove devi raccontare chi sei, cosa sogni, perché vuoi proprio quell’università. Sembra una sciocchezza, invece richiede autocritica e tempo.
Poi ci sono le referenze. Qui la regola è: non chiedetele all’ultimo istante, perché i professori sono presi e rischi di ricevere lettere troppo generiche. Meglio parlarne con anticipo e spiegare le tue motivazioni.
Da non sottovalutare anche il rispetto delle scadenze: ogni università ha le sue date, che spaziano da novembre a inizio gennaio per l’ingresso a settembre. E no, non è raro “perdersi” qualche deadline (tranquillo, succede…), quindi meglio farsi dei promemoria e accettare che qualche intoppo lungo la strada ci sarà.
Difficoltà vere: costi, ambientamento, burocrazia
Molte persone preferiscono non parlarne troppo, ma è giusto essere onesti: studiare informatica negli USA è caro. Solo la retta può superare facilmente i 40-50 mila dollari l’anno, a cui aggiungi vitto, alloggio, assicurazione e spese varie. E anche se ci sono borse di studio, ottenerle richiede impegno, quasi quanto l’ammissione stessa.
Poi c’è il tema delle emozioni: vivere dall’altra parte dell’oceano, tra lingua da usare tutti i giorni (e capirla al volo non è sempre scontato…), culture nuove, ritmi e metodi di studio diversi dagli italiani. È facile sentire nostalgia, e se capita non sei strano: succede praticamente a tutti. Personalmente, il primo semestre mi sono sentito spesso inadeguato – tra lezioni impegnative, professori con accento incomprensibile e compagni super competitivi. Ci vuole un po’ per trovare il proprio spazio, ma prima o poi arriva.
Ultima cosa la burocrazia: la trafila del visto F-1, della documentazione sanitaria, delle mille domande per l’alloggio… è lunga e a tratti frustrante. L’unico consiglio che mi sento di dare è: prendi tutto con pazienza e chiedi aiuto se non capisci qualcosa. Nessuno nasce imparato, e a volte una domanda evita grattacapi grossi.
Dove entra in gioco Studey
Se sei arrivato fin qui nella lettura, forse è perché vorresti un supporto vero. Studey nasce proprio da questa esigenza: persone che ci sono passate, che sanno cosa significa sentirsi spaesati tra mille moduli, che magari hanno commesso (e risolto) gli stessi errori.
Non siamo quelli che ti promettono “l’ammissione garantita”. Quello che possiamo fare – e facciamo tutti i giorni – è:
- Rivedere le tue pagelle e aiutarti a capire se sei in linea con quanto cercano le università USA (e se non lo sei, lo diciamo senza giri di parole).
- Darti una mano concreta con la parte delicata del personal statement e delle referenze.
- Ragionare con te su QUALI università candidarti, non basandoci solo sui ranking, ma su quello che pensiamo abbia senso per te (e per il tuo budget, che non è un dettaglio).
- Guidarti nella trafila delle application online, dei test, dei passaggi pratici.
- Segnalarti, se ci sono, borse di studio compatibili con il tuo profilo (se non ci sono, te lo diciamo subito: niente false illusioni).
- E soprattutto: restare disponibili anche DOPO l’application, perché i problemi iniziano spesso una volta ricevuto l’ok.
Un paio di domande che ci fanno spesso:
Quanto tempo mi serve per preparare la candidatura?
Almeno sei mesi se vuoi fare le cose con calma, ma c’è chi ci mette meno (stressandosi di più…) e chi inizia anche un anno prima. Meglio partire presto, così hai margini per errori (che prima o poi capitano).
Qual è il livello d’inglese richiesto?
Dipende dal corso, ma con un IELTS sopra il 6.5 o TOEFL sopra il 90 sei già su un buon livello per la maggior parte delle università. Attenzione però: l’inglese scritto e parlato dell’università americana resta comunque un bello scoglio per molti; niente paura, si migliora col tempo.
Vale davvero la pena investire tanto per studiare informatica negli USA?
Non c’è una risposta unica. Per alcuni sì, per altri – magari con limiti di budget o preferenze di vita – può essere più saggio puntare su UK, Olanda, Irlanda, o perfino rimanere in Italia col sogno di una partenza per un master dopo. È una questione personale, e va valutata caso per caso.
Come aumento le mie chance di essere ammesso?
Essendo autentico nel personal statement, puntando su referenze che raccontano davvero qualcosa di te, scegliendo università in cui puoi “spiccare” (non serve sparare per forza solo a Harvard…) e, quando serve, chiedendo supporto senza vergognarti.
Se sei nel momento in cui ti stai davvero chiedendo “ma questa cosa fa per me?” oppure “come si fa, davvero, a non perdersi in tutto questo?” puoi scriverci o fissare una chiacchierata (gratuita, sì, senza obblighi strani). Nessuna formula magica, però, solo confronto vero e consigli basati sulla realtà – con la promessa che restiamo compagni di viaggio anche quando le difficoltà arrivano davvero.
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