Studiare design nel Regno Unito: guida pratica tra sogni, portfolio e realtà
Se stai pensando di studiare design nel Regno Unito, probabilmente ti senti un misto di entusiasmo e ansia. Ti capisco: ci siamo passati anche noi. Il sistema inglese offre tante opportunità, ma anche parecchie insidie. Qui trovi una panoramica onesta – niente promesse magiche – su come scegliere l’università, costruire un portfolio che funzioni davvero e affrontare la domanda di ammissione senza impazzire.
Università di design in UK: più sfumature che certezze
In giro si sente parlare sempre delle stesse quattro-cinque scuole: Royal College of Art, University of the Arts London (UAL), Glasgow School of Art, Goldsmiths. Sì, sono nomi enormi e hanno corsi di livello. Ma la verità è che la “migliore” università non esiste in assoluto: dipende da quello che cerchi davvero – e da che tipo di designer vuoi diventare.
Alcune università sono iper-specializzate (tipo Central Saint Martins, pazzesca per moda), altre più trasversali, altre ancora molto tecniche o legate al mondo delle aziende. Non farti abbagliare solo dalla fama: cerca il corso che parli davvero la tua lingua e punta a quello, anche se non è il più “instagrammabile”.
E poi, diciamolo: l’ambiente competitivo c’è, il costo pure (Londra in particolare), e ci sono studenti che restano delusi perché si aspettavano tutt’altro. Vale la pena parlarne chiaramente.
Portfolio: serve testa, non solo tecnica
Se c’è una cosa che fa davvero la differenza in UK, è il portfolio. Solo chi lo ha dovuto rifare da capo lo sa: non bastano buone capacità tecniche, ci vuole un racconto personale, un’idea chiara di CHI sei come creativo. Errori che vediamo spesso? Portfolio pieni di esercizi “da compito”, o di lavori fatti di fretta solo per aggiungere numero. Ti assicuro, si vede lontano un miglio.
Cosa funziona, allora?
- Qualche progetto che ti rappresenta davvero (vale anche roba fatta fuori da scuola!)
- Mostrare i processi, non solo i risultati finali: bozzetti, errori, cambi di idea. Sì, pure se ti vergogni
- Una breve spiegazione scritta di ogni progetto: da dove sei partito/a, perché, cosa volevi comunicare
- Presentazione curata (ordinata ma non senz’anima)
- Non puntare a riempire pagine: meglio pochi lavori forti che mille tutti uguali
Se sei bloccato su cosa mettere dentro, chiedi sempre un occhio “esterno”: anche noi di Studey, se ti va, possiamo aiutarti a capire cosa funziona e cosa no. Farsi correggere il portfolio fa male all’ego? Sì. Però spesso aiuta parecchio.
Application: carta, penna, e… un po’ di sincerità in più
Fatto il portfolio, arriva la parte burocratica: application vera e propria. Ti servono un po’ di cose:
- Il personal statement (la lettera motivazionale): qui non devi convincere di essere un genio, ma raccontare perché vuoi fare design proprio lì, come ci sei arrivato/a, e quali sogni – ma anche dubbi – ti porti dietro. Sono storie vere a distinguere una lettera fatta bene da una noiosa.
- Reference letter: in genere va chiesta a un docente o a qualcuno che ti conosce sul campo. Non serve che ti incensi: meglio un parere onesto che una sviolinata di circostanza.
- Certificati scolastici e, in alcuni corsi, eventuale colloquio o test pratico.
(Tra parentesi: i documenti spesso vanno tradotti bene, e ogni università ha scadenze e formati diversi – qui la burocrazia può essere davvero snervante.)
Come scegliere (davvero) il corso giusto – e quando è il caso di cambiare idea
Design è un universo enorme. C’è chi sogna visual design, chi industriale, chi interaction, chi moda… e spesso all’inizio non è semplicissimo capire dove andare a parare. Guardare solo il nome del corso, però, non basta: leggi il programma (spesso disponibile online), guarda i progetti degli studenti vecchi, controlla se ci sono stage, collaborazioni, workshop reali.
E se capisci che una specializzazione non fa per te? Non sentirti uno “sbagliato”: molti cambiano idea già al primo anno, o dopo. Non è un fallimento, è parte del gioco.
Gli aspetti meno instagrammabili (ma tocca affrontarli)
- Costi: vivere a Londra o a Glasgow è costoso. Le tasse universitarie da internazionali sono alte, e ci sono spese extra: affitto, materiali, trasporti. Valuta bene, senza fidarti di chi ti dice che “tanto trovi borse di studio facili” (spoiler: quasi mai).
- Pressione: i corsi sono impegnativi, il clima competitivo, e a volte ci si sente isolati. Trovare amici all’inizio non è immediato; chiedere aiuto (anche tra studenti) fa la differenza.
- Application faticosa: richiede energia, pazienza, e spesso almeno due giri di correzione. Nessun problema: se ti blocchi, non sei solo/a.
Voci dalla trincea: qualche esperienza vera
Marco, partito da Torino e arrivato a Central Saint Martins, mi ha raccontato: “Pensavo che bastasse mandare tutti i disegni che avevo fatto, invece mi hanno chiesto davvero ‘come ci sei arrivato?’ Mi sono risentito come alle medie… per fortuna, con l’aiuto di chi ci era passato prima, ho sistemato tutto.”
Dall’altra parte, Sara (Glasgow School of Art) dice: “Avevo mille dubbi sul personal statement, temevo fosse troppo banale. Solo dopo averlo fatto leggere a chi conosce il sistema inglese ho capito cosa non funzionava.”
La realtà è che un percorso così può dare tanto, ma solo se parti davvero preparato/a.
Insomma: perché scegliere (o non scegliere) questa strada
Studiare design in UK NON è la soluzione-facile-per-un-futuro-da-sogno – e chi lo dice mente. È un investimento concreto, fatto di portfolio sudati, burocrazia che dà il mal di testa, momenti in cui ti chiedi “che sto facendo?!” Ma anche di occasioni di crescita vera, collaborazioni internazionali, nuove amicizie.
Se hai dubbi o vuoi evitare errori che in tanti hanno già fatto, chiedi pure: siamo una community di persone che ci sono passate (e qualche cantonata l’abbiamo presa anche noi). Ti aiutiamo a capire se è la strada giusta per te, senza filtri.
Non è tutto rose e fiori, ma con le informazioni giuste e un supporto vero alle spalle, almeno puoi partire sapendo cosa aspettarti. Poi ognuno trova la sua strada, a modo proprio.
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